martedì 9 maggio 2017

A spasso per il sito nucleare di Saluggia (pochi i visitatori locali)

Come avranno saputo almeno i rari (come dice Greppi) seguaci di questo blog, il 6 e 7 maggio il sito nucleare di Saluggia è stato aperto al pubblico. "La Stampa" ha raccontato in prima pagina le cronache di queste giornate a modo loro storiche. Dall'articolo si deduce che i cittadini della zona erano una minoranza, e questo non è bello. Trapela anche il dubbio che davvero si costruisca altrove un deposito definitivo, come dice il leggendario Godio di Lega Ambiente. 
Con colpevole ritardo riporto qui la cronaca del mio quotidiano ("mio" nel senso che ci ho passato una vita, naturalmente) a firma di Elisabetta Pagani.

Davanti al sito nucleare di Saluggia staziona un’auto della polizia. «Ordine pubblico - spiegano gli agenti - nel caso di contestazioni». Non ce ne saranno. I quattro attivisti di Legambiente si fermano più in alto, all’incrocio con la provinciale, e distribuiscono volantini ai visitatori, che arrivano da tutto il Nord Italia per esplorare il più grande deposito nazionale di scorie radioattive, per la prima volta aperto al pubblico.  

È qui che si trova la maggioranza dei rifiuti nucleari d’Italia, in questo comprensorio vercellese racchiuso fra la Dora Baltea e due canali, vicino all’acquedotto del Monferrato. Un luogo unanimemente considerato inadatto ad ospitare questo tipo di materiale. In attesa, però, che il governo, già in ritardo, individui dove creare il deposito nazionale, qui si sta costruendo un impianto per metterli in sicurezza cementando quelli liquidi ed è quasi pronto un deposito per accoglierli. «Temporaneamente» assicura la Sogin, la società pubblica incaricata di smantellare l’impianto. I tempi? «Il decommissioning (smantellamento) - spiega Michele Gili, direttore dello stabilimento - dovrebbe finire fra il 2028 e il 2032, le procedure sono delicate e quindi lunghe. Poi va aggiunto un quinquennio per trasportare i materiali nel sito definitivo». Che gli ambientalisti temono, nonostante l’Ispra lo vieti, che possa diventare, o meglio rimanere, proprio Saluggia: «Se avessero voluto mettere in sicurezza i rifiuti - accusa Gian Piero Godio di Legambiente - avrebbero già iniziato la cementazione, altro che costruire il deposito». 

In questo fine settimana il sito, con altri 7 impianti e centrali italiane che dovranno essere smantellate, apre le sue porte con Open Gate, iniziativa con cui 3000 persone (altre 1700 sono in lista d’attesa) varcano porte a tenuta stagna e indossano camici e calzari per ascoltare la storia di questi stabilimenti e il loro processo di chiusura definitiva a 30 anni dal referendum. «Il nemico fa più paura se non lo conosci - racconta Concetta Profita, che con la famiglia ha appena concluso la visita guidata -. Sono caposala all’ospedale e al nucleare sono sempre stata contraria. Prima di venire ero titubante, ma quello che ho visto mi ha rassicurata». Non sono molte le famiglie del posto, come la sua. Tanti arrivano da altre città piemontesi, dalla Lombardia, dal Veneto. «Per interesse, curiosità» spiegano.  

I TOUR  
Si dividono fra i due tour previsti a Saluggia, dove sono andati esauriti i 320 posti disponibili. Il primo li accompagna, con un tecnico cicerone, nelle “zone controllate”, quelle dove fino al 1984 si svolgevano attività di ricerca sul riprocessamento del materiale irraggiato (e che sono tuttora funzionanti), tra sale di comando piene di pulsanti e celle schermate in cui bracci meccanici sollevano provette radioattive; il secondo porta nell’area esterna, dove si sta costruendo il Cemex, l’impianto che dovrà trasformare da liquidi a solidi i rifiuti radioattivi, e dove è ormai pronto il deposito («Se ne costruiremo altri? Non lo escludiamo, se servirà» dice Gili). «Questa due giorni di porte aperte la dovevano ai cittadini - spiega il presidente Sogin, Marco Ricotti - è giusto che possano toccare con mano quanto facciamo per gestire i rifiuti».  

«Confido nella scienza - osserva una visitatrice milanese, Cristina Mondin - mi sembra lavorino con professionalità». «Avremmo voluto visitare la centrale di Caorso ma i posti erano esauriti - commenta Ambrogio Oliva, di Saronno, con i figli Federico e Gabriele - così siamo venuti a vedere il deposito, per capire come funzionerà». «Mi interessa da sempre l’argomento - sorride il signor Renzo Fabbri di Torino mentre si accredita con la figlia Tiziana - e volevo imparare qualcosa». «D’altronde le scorie ormai le abbiamo - gli fa eco la signora Fabrizia Sartorio - sono il risultato del tipo di vita che abbiamo scelto. L’importante è che siano trattate in sicurezza».  

In un gruppo, un uomo chiede spiegazioni sul perché «si spendano tanti soldi per costruire un deposito che si dice sarà temporaneo, e che costringerà poi a spostare i rifiuti cementati», quando (e soprattutto se, sottolinea chi contesta il progetto), si individuerà il sito nazionale definitivo. «E’ l’unica possibilità - assicura Gili - e prima lo facciamo meglio è». 

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