venerdì 30 ottobre 2015

Riflessioni (condivisibili) sul caso Marino

Sono venuta finalmente qui per scrivere, dopo troppo lunga e colpevole latitanza di cui chiedo scusa, e stavo pensando al prode Vicesindaco Speranza e ai Commercianti. Però poi ho letto il Buongiorno di Gramellini che sotto influenza mi è parso abbastanza ispirato, e ho deciso di condividere con voi la lettura, perché a volte bisogna anche riflettere, e qui lui lo fa con buona ironia malgrado la febbre... 

Il "Buongiorno" di Massimo Gramellini
Il Galanteo

Una sana influenza rende la vita meno monotona. Lo stato di soave rincoglionimento garantito dal febbrone permette di cogliere il senso profondo di certe rivelazioni sensazionali. Per esempio che, se ogni giorno ti rimpinzi di hot dog frattaglie e cacciatorini, hai più probabilità di ammalarti di tumore (e forse anche di avere l’alito pesante) rispetto a chi tira avanti con verdure lesse e frullati. Sì, una sana influenza rende la vita meno monotona e un po’ meno seria. La condizione di forzata immobilità fa apprezzare meglio le fantasmagoriche evoluzioni del circo Orfini, dal nome del presidente e commissario del Pd romano che in soli due mesi è riuscito a declassare il sindaco Marino da ultimo avamposto contro le mafie a sciagura umana, combinando un pasticcio più pericoloso e indigesto di una carne lavorata. Orfini è la prova vivente dell’astuzia di Renzi, che dopo avere rottamato i vecchi del partito togliendo loro le poltrone, ora rottama i giovani e potenziali concorrenti semplicemente assegnandogliele.  

Sì, una sana influenza sa ancora regalare emozioni inimmaginabili. Sei nel tuo letto di dolore e senti annunciare alla radio che Galan - l’ex governatore e ministro che patteggiò sulle tangenti del Mose e riconsegnò una villa sequestrata dopo avere sradicato caminetti e lavandini - potrebbe ricevere a giorni un incarico di professore di educazione civica. E immediatamente un riso isterico ti squassa le membra e salti fuori dalle lenzuola con una voglia matta di essere maleducato per tutto il tempo che ti resta da vivere. 

mercoledì 21 ottobre 2015

Curarsi in Italia diventa sempre più difficile


Non ce lo debbono dire i media, sappiamo quanto sia decaduto il servizio sanitario nazionale, e tanto più ha fatto arrabbiare la decisione di togliere l'imposta sulla prima casa a tutti, da parte del Governo Renzi che però ora sull'onda delle proteste ha fatto marcia indietro, decidendo che l'Imu resti su ville e castelli.
Il che potrebbe - condizionale - incidere sulla qualità di un servizio che era un fiore all'occhiello del nostro Paese. Il Censis con i suoi numeri spietati ha intanto fatto i conti sulle difficoltà ad avere le cure necessarie, e sul lavoro nero di alcuni medici e specialisti. Che tristezza no?
Qui, un quadro fosco dipinto dal quotidiano La Stampa. 
MV

I dati Censis: quattro famiglie su dieci rinunciano alle cure sanitarie per le liste di attesa infinite

Prestazioni in nero per il 32% degli italiani. Spesa privata a 500 euro pro capite

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20/10/2015
Più di quattro famiglie su dieci hanno dovuto rinunciare alle cure di un proprio caro per le lunghe liste di attesa nella sanità pubblica e per i costi proibitivi di quella privata. Si tira la cinghia e si risparmia anche sui servizi di welfare che prima ritenevano indispensabili. 

SPESA PRIVATA A 50 EURO PRO-CAPITE  
Questa la fotografia scattata da un recente rapporto del Censis, che evidenzia come, nell’ultimo anno, nel 47,1% delle famiglie, almeno una persona ha dovuto rinunciare a una prestazione sanitaria. Chi decide di andare lo stesso dal medico o di sottoporsi a esami specialistici più o meno costosi spesso paga “di tasca propria” «il 18% della spesa sanitaria totale». Una percentuale molto più alta rispetto al 7% della Francia e al 9% dell’Inghilterra e che si traduce in una spesa pro capite annua di circa 500 euro. 

LE FASCE DEBOLI  
Una situazione che fa riflettere i cittadini e fa dichiarare al 53,6% degli intervistati dal Censis che «la copertura dello Stato sociale si è ridotta». Nel complesso, circa la metà delle famiglie italiane ha dovuto infatti rinunciare in un anno ad almeno una prestazione di welfare: dalla sanità all’istruzione, dal socio assistenziale e al benessere. Le quote più elevate di rinunciatari sono nei Comuni con al massimo diecimila abitanti (dove oltre il 59% delle famiglie ha razionato le spese nel welfare), nelle regioni del Sud e delle Isole (57%), tra le famiglie mono genitoriali e i Millenials. 

IL SOMMERSO  
Non è un caso se a queste tematiche si aggiunge anche un altro problema: quello di servizi di welfare pagati senza fatture o ricevute. Nell’ultimo anno, infatti, secondo il Censis «al 32,6% degli italiani è capitato, direttamente o a un membro della proprio famiglia, di pagare prestazioni sanitarie o di welfare in nero». In particolare, oltre il 21% degli intervistati ha dichiarato di aver pagato senza fattura o ricevuta visite mediche specialistiche, il 14,4% visite odontoiatriche, il 2,4% ripetizioni di matematica e di lingue e l’1,9% prestazioni infermieristiche». Nel Meridione la percentuale sale ancora di più, visto che a pagare questo tipo di servizi in nero è stato il 41% degli intervistati. 

E Massimo D'Alema a Londra si dedica al vino

I pettegolezzi sono un fenomeno raramente significativo dal Centro-Sinistra in là (verso sinistra). A destra, invece si danza. Grillo che fa il figo nella sua villa o sul motoscafo in Sardegna (ma lui vive da uomo di spettacolo, com'era e come resta...), Berlusconi con più castelli di Eulalia Torricelli da Forlì della vecchia canzone (ma lui vive da uomo di spettacolo, e non stendiamo un velo su Ruby e le Olgettine e la morosa napoletana...), il bel Casini con i suoi casini nel giro della famiglia Caltagirone (non si sa più nulla però, ultimamente), Salvini che fa il bullo accanto alla tv girl Elisa Isoardi, una che più in cerca di pubblicità di così non si può.

Bene, a sinistra su questi temi sono noiosi o almeno poco interessanti.. Tranne D'Alema, che fra le scarpe di Prada (come Ratzinger) e la barca a vela, ha sempre offerto materiale succoso al mondo del gossip (pettegolezzo, ma adesso parlan tutti in inglese, anche quelli che non lo sanno). Intelligente assai, molto arrogante (un tratto che condivide con Renzi), il vecchio Massimo adesso è nel suo periodo del vino. E giusto per perdere e farvi perdere un po' di tempo, ecco un exploit di Dagospia su una sua visita a Londra per vender vino, durante la quale non rinuncia (meno male) a polemizzare con la Patria. Anzi, con una certa Patria...

da DAGOSPIA, tratto dal "Fatto Quotidiano".

“BAFFINO” UBRIACA LONDRA - D’ALEMA PORTA IL SUO VINELLO NELLA CITY E STAPPA BOTTIGLIE PER 60 INVITATI TRA CUI GIGI D’ALESSIO, NANCY DELL’OLIO, GIANNA NANNINI E L’AMBASCIATORE TERRACCIANO - IL COLPO DI TAPPO A RENZI: “CHI SOSTIENE DI FARE COSE NUOVE, NORMALMENTE MENTE”

Nonostante la produzione limitata, 25-30 mila bottiglie l'anno, l'ambizione di Massimo D'Alema è di presentare e vendere il suo vino a un pubblico internazionale: “Ma noi non vogliamo rottamare nulla. Non amiamo i tweet, preferiamo leggere libri. La storia insegna che nulla si crea, nulla si distrugge, ma tutto si trasforma”…

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dalema con il suo vinoDALEMA CON IL SUO VINO

Udite udite, qui parla Londra: il vino di Massimo D'Alema - annuncia ieri un british zero lancio Ansa - "sbarca" nella City. Testuale: "Presentata nel corso di una cena italiana la produzione dell' azienda La Madeleine, di proprietà dell' ex premier. Sessanta selezionati invitati - tra i quali l' ambasciatore italiano Pasquale Terracciano, Gigi D' Alessio, Nancy Dell' Olio e Gianna Nannini - hanno potuto assaggiare i vini di Massimo D'Alema nel corso di una serata organizzata dal ristorante "Gola".

"La sfida è fare meglio dei francesi', afferma l' ex presidente del Consiglio, per il quale 'Londra è una piazza importante...". E ancora: "Nonostante la produzione limitata, 25-30 mila bottiglie l' anno, l' ambizione di Massimo D'Alema è di presentare e vendere il suo vino a un pubblico internazionale (...). 'Ma noi non vogliamo rottamare nulla. Non amiamo i tweet, preferiamo leggere libri. La storia insegna che nulla si crea, nulla si distrugge, ma tutto si trasforma. Chi sostiene di fare cose nuove, normalmente mente', chiosa con ironia Massimo D' Alema, rivolgendo apparentemente qualche puntura di spillo in direzione di Palazzo Chigi".
MASSIMO D'ALEMA OTRICOLI PRESENTAZIONE DEL SUO VINOMASSIMO D'ALEMA OTRICOLI PRESENTAZIONE DEL SUO VINO
Nientepopodimeno.

domenica 18 ottobre 2015

La manovra del Governo: si riapre il fronte con la sinistra del PD

Molti degli elettori di sinistra del PD si trovano smarriti in questi giorni a leggere i punti della manovra del Governo Renzi. Dentro, c'è pochissimo "di sinistra", e davvero in tanti si chiedono che cosa c'entrino il PD, e la sinistra, con certe decisioni. Dall'abolizione dell'Imu pure ai castelli all'innalzamento delle cifre che si possono spendere in contanti: il provvedimento viene visto come una strizzata d'occhio all'evasione. Dove si vuol andare a parare? 
Naturalmente, anche in Parlamento c'è chi dice no. 
Questa intervista del Corriere della Sera di oggi al deputato D'Attorre riassume un po' la questione generale. 



Per D’Attorre è l’ora dell’addio al Pd: «Questa manovra io non la voto»

Il deputato: «Un impianto insostenibile che porta a compimento la mutazione genetica del nostro partito. Non sarò il solo a dire di no»

di Monica Guerzoni

Alfredo D’Attorre, PdAlfredo D’Attorre, Pd
shadow
ROMA «Non ci siamo assolutamente». 
Per Renzi la legge di Stabilità è di sinistra. A lei proprio non piace, onorevole Alfredo D’Attorre? 
«È un impianto insostenibile. Porta a compimento la mutazione genetica del Pd». 
Teme la nascita del partito della nazione? 
«L’abbraccio con la destra mi pare perfettamente coerente con le scelte di fondo. Al centro c’è l’abolizione della tassa sulla prima casa per tutti, compresi i proprietari di castelli. Neppure Berlusconi si era spinto fin lì. A fronte di questo si riduce la spesa per la sanità in rapporto al Pil». 
I suoi colleghi della sinistra protestano, ma la voteranno. 
«Non c’è nulla per la flessibilità in uscita per le pensioni e ci sono briciole persino insultanti per i dipendenti pubblici, dopo cinque anni di blocco contrattuale. Sul Sud siamo alle chiacchiere...». 
Renzi parla di «sorprendente» taglio delle tasse. 
«Si dà la priorità ai profitti aziendali senza neppure il vincolo del reinvestimento, anziché ai redditi da lavoro. E poi c’è la ciliegina sulla torta sull’uso del contante, che trasmette un messaggio inquietante in termini di lotta all’evasione e alla corruzione». 
Vuol dire che non la voterà? 
«No, senza correzioni profonde la ritengo invotabile. Renzi se la approvi con i voti di Alfano e di Verdini, non certo con il mio». 
Ha paura di ritrovarsi Verdini, D’Anna e Barani nel giardino della «ditta»?
«Verdini ha già saldamente piantato le sue tende nel giardino del Pd». 
È un altro penultimatum, o non voterà la Stabilità neppure con la fiducia?
«No, di fronte a questo impianto andrò fino in fondo. Stavolta per me prevarrà la fedeltà al programma con il quale siamo stati eletti nel 2013». 
Poi dovrà uscire dal Pd. 
«È del tutto ovvio che un voto contrario implica conseguenze politiche. La sua approvazione significherebbe il definitivo distacco del Pd da una rotta di centrosinistra. Contiene misure che rappresentano una demolizione anche simbolica dell’eredità dell’Ulivo. Se queste cose le avessero proposte Berlusconi e Tremonti saremmo scesi in piazza». 
Bersani, Speranza e compagni sono sulla sua lunghezza d’onda, o si assume il rischio di una uscita solitaria come già Civati e Fassina? 
«Penso che ci sia ancora la preoccupazione di evitare una spaccatura definitiva del Pd. Ma per quanto mi riguarda siamo arrivati a un punto limite e rischieremmo di non essere più credibili dopo un altro voto favorevole». 
Spera in una vera scissione?
«Non credo che sarò l’unico deputato pd a non votare la Stabilità, se resta questo l’impianto. E questa scelta sarà condivisa da molti militanti. Invito il resto della minoranza a fare una riflessione. Sul territorio c’è sofferenza e sconcerto. A questa mutazione genetica si aggiunge la sospensione di ogni forma di democrazia interna». 
Renzi dice che non fate altro che riunirvi... 
«Si è arrivati alla legge di stabilità senza una sola riunione né di partito, né di gruppo. Nei territori l’attività democratica è quasi sospesa e addirittura si mette in discussione il ricorso alle primarie per i sindaci. Il Pd è ridotto a un comitato elettorale e all’ufficio stampa del capo». 
Farà una «cosa rossa» con Sel, Fassina e Civati? 
«Non credo a una riedizione della cosa rossa o esperimenti di sinistra radicale. Se lo snaturamento del Pd arriva a compimento, si apre lo spazio per un soggetto largo e plurale di centrosinistra, ulivista». 
Una nuova «ditta», sulla scia del Pci-Pds-Ds? 
«Bisogna dare espressione sia a una sinistra di governo moderna, sia a un’area cattolica. Renzi sta trasformando il partito in una forza moderata che sembra guardare a destra molto più volentieri che a sinistra». 
Voterà un candidato sindaco del Pd a Roma? 
«Il Pd farebbe meglio a promuovere una riscossa civica, dubito che abbia legittimità politica per indicare figure di guida».

sabato 10 ottobre 2015

Ciao Ettore

Non solo ci si dimette, soprattutto si muore. Si muore quando si pensa che sia un po' prestino, e ci si vorrebbe fare ancora un po' di compagnia, con la moglie, con la figlia, con il fratello, con la mamma perfino. Ché Ettore Graziano  ha ancora la mamma, ma lui stamattina - sabato 10 ottobre - verso le 9,30 ha tolto il disturbo con discrezione, e ci ha mollati qui, tutti. 
I suoi familiari, i suoi amici, quelli della sua leva di cui faccio parte (una leva, del 1947, che praticamente non esiste, e non combina mai niente e mai niente ha combinato, e non sarà un caso che siamo così, presi in gruppo), i suoi compagni di scuola delle Medie, di cui nuovamente faccio parte: lui stava nell'ultimo banco verso la porta, e poiché veniva da San Silvestro in bicicletta portava le braghe alla zuava che gli faceva sua mamma, i calzettoni e il maglioncino beige. 
Era già brillante e spiritoso da ragazzetto, studiava, andava bene a scuola. Parlava tanto, mentre tutti gli altri maschi della classe guidata da Nella Gozzola con pugno di ferro, erano per lo più indolenti e un po' imbranati. 
Brillante e spiritoso è rimasto nel resto della vita. Sapeva cantare come pochi, ballava bene, senza di lui non potrò più andare a uno di quei pranzi sotto i portici che finivano in coro. Rimpiangeva di non aver potuto studiare oltre il diploma per laurearsi, ma c'era un altro fratello più piccolo che doveva ancora studiare e i soldi non bastavano. Aveva fatto una bella carriera alla Fiat però, e poi era tornato a rintanarsi a Crescentino, con tutti gli amici di sempre, la paziente e silenziosa Teresa sempre con lui, l'impegno con La Croce Rossa che aveva preso negli ultimi anni, assai seriamente. 
La botta della morte in montagna di Carlo, il figlio amatissimo e spericolato, era stata terribile. Lui e Teresa l'avevano sopportata con un silenzio e una dignità che non ho mai visto in chi abbia avuto a che fare con questi dolori disumani. Credo che quel dolore abbia fatto la sua parte nel male che lo consumava e che lui sopportava con una sorta di rassegnazione eroica ma molto "understatement". 
Un abbraccio a Teresa, che non mi passa mai di mente, e a tutta la sua famiglia. 






venerdì 9 ottobre 2015

Il Mostro Marino e i complotti

Alle nove di sera il Mostro Marino, sindaco dimissionario di Roma, ha la voce esausta di un chirurgo dopo dieci ore di camera operatoria. «È da ieri che non mangio e che non mi siedo: proprio come quando operavo». 

Se ne va a casa per cinque scontrini di ristorante non giustificati?  
«Ci avevano provato con la Panda rossa, i funerali di Casamonica, la polemica sul viaggio del Papa. Se non fossero arrivati questi scontrini, prima o poi avrebbero detto che avevo i calzini bucati o mi avrebbero messo della cocaina in tasca». 

Su qualche sito sono arrivati a imputarle di avere usato i soldi del Comune per offrire una colazione di 8 euro a un sopravvissuto di Auschwitz.  
«Se è per questo, mi hanno pure accusato di avere pagato con soldi pubblici l’olio della lampada votiva di san Francesco, il patrono d’Italia, “per farmi bello”. Senza sapere che sono centinaia di anni che il sindaco di Roma, a rotazione con altri, accende quella lampada». 

Vox populi: si dava arie da integerrimo e invece sotto sotto era uno spendaccione come gli altri.  
«Infatti una volta in cui mi trovavo in albergo a Londra per un convegno con i sindaci europei, ho rinunciato al buffet da 40 sterline perché mi sembrava uno schiaffo alla miseria. Ho attraversato la strada e sono andato da Starbucks». 

Ci sono cinque note spese in cui lei sostiene di avere cenato con qualcuno che invece nega di essere stato a tavola con lei.  
«Ho già detto che sono disposto a pagare di persona le mie spese di rappresentanza di questi due anni: 19.704,36 euro. Li regalo al Campidoglio, compresa la cena in onore del mecenate che poi ha staccato l’assegno da due milioni con cui stiamo rimettendo a posto la fontana di piazza del Quirinale, sette colonne del foro Traiano e la sala degli Orazi e Curiazi». 

Ma quelle note spese sono bugiarde oppure no?  
«Io non so cosa ci hanno scritto sopra. Ho consegnato gli scontrini agli uffici, come si fa in questi casi. Non escludo che possa esserci stata qualche imprecisione da parte di chi compila i giustificativi». 

Si aspettava che sarebbe venuto giù il mondo?  
«Ho rotto le uova nel paniere del consociativismo politico. Ho riaperto gare di acquisti beni e servizi che erano in prorogatio da una vita. Ho tolto il business dei rifiuti a una sola persona e il patrimonio immobiliare a una sola azienda che ha incassato dal comune 100 milioni negli ultimi anni, la Romeo». 

Da Renzi si sarebbe aspettato un atteggiamento diverso?  
«Diciamo che Renzi non ha avuto la possibilità di apprezzare i cambiamenti epocali che abbiamo fatto in questa città». 

Si sente pugnalato alle spalle dal suo partito, il Pd? Non una voce si è alzata a sua difesa.  
«Mi hanno espresso vicinanza in due. Il ministro Graziano Del Rio e Giovanni Legnini, vice presidente del Consiglio Superiore della Magistratura. Erano entrambi molto avviliti per quanto accaduto». 
 (segue più sotto)

E Renzi?  
«Non avendo avuto l’opportunità di parlare col presidente del consiglio, non ho potuto conoscere qual è il suo giudizio».  

Brr, che freddo. Lei ha presentato le dimissioni dicendo che in base alla legge ha venti giorni di tempo per ritirarle. Cos’è, una minaccia?  
«Ma si figuri. Prendo atto che Pd e Sel, due partiti della maggioranza, hanno chiesto le mie dimissioni. E un chirurgo non può restare in sala operatoria senza il suo team» 

Pensa che qualcuno starà festeggiando?  
«Sicuramente. Eppure oggi ho visto tanti volti rigati dalle lacrime… Alfonso Sabella, assessore e magistrato, mi ha detto che non piangeva così da 35 anni. E dieci consiglieri del Pd su diciannove mi hanno assicurato con le lacrime agli occhi che erano contrari alle mie dimissioni» 

Dieci su diciannove è la maggioranza… Se erano sinceri, il partito è spaccato in due. Tornerà indietro?  
«La decisione non è più nelle mie mani. E io sono l’ultima persona al mondo che vuole occupare una poltrona. Questo incarico meraviglioso mi ha procurato problemi familiari enormi, proiettili in busta e perdita della libertà personale».  

Sta scrivendo un libro sull’esperienza di sindaco e queste dimissioni vi aggiungeranno ancora più pepe. Pensa di avere pagato a caro prezzo la sua natura di marziano a Roma, anzi di marziano della politica, troppo ingenuo nei rapporti e poco avvezzo ai compromessi?  
«Se sono accuse, le considero medaglie. Non sono mai andato nei salotti e alle cene della Roma che conta. Non ho mai frequentato il mondo che in passato era abituato a decidere assieme alla politica le strategie economiche della città. Io alla terrazza ho sempre preferito la piazza. E vorrei ricordare che il 5 novembre avverrà un fatto storico: Roma sarà parte civile nel processo di Mafia Capitale. Noi abbiamo tagliato le unghie a chi voleva mettere le mani sugli affari». 

Ma le mani hanno finito per tagliarle a lei. E proprio alla vigilia di un evento come il Giubileo. Come mai?  
«Non lo so. Certo nei prossimi giorni bisognerà decidere quando e come investire sul Giubileo… La mia giunta ha segnato una discontinuità. Mi auguro che chi verrà dopo di me non riporti Roma indietro». 

Sembrano le parole di un uomo nauseato dalla politica.  
«Diciamo che il comportamento di una parte della classe dirigente non mi ha entusiasmato. Ho provato a interrompere il consociativismo degli affari che fa sedere maggioranza e opposizione intorno allo stesso tavolo, senza scontrini… E ho pagato per questo».  

giovedì 8 ottobre 2015

Essere ricchi per poter comprare senatori... Il caso De Gregorio

Questa è una storia che mi ha sempre fatto moltissima impressione, ed essendo ormai acclarata mi piace condividerla con voi.
Da "La Stampa".


“Berlusconi comprò la libertà del senatore De Gregorio”

Scrivono i giudici: «Silvio Berlusconi vanta delle risorse economiche ingentissime, in relazione alle quali, insomma, tre o anche cinque milioni di euro sono poco più che il costo di una cena per una tavolata di amici in rapporto alle finanze non esigue di un parlamentare». È vero, i tre anni di carcere non li farà mai. Perché tra pochi giorni interverrà la prescrizione e Silvio Berlusconi dunque, non dovrà subire il giudizio dell’Appello e poi quello della Cassazione (a meno che non rinunci alla prescrizione). Però le 160 pagine di motivazioni dei giudici che l’hanno condannato in primo grado sono durissime - «la vicenda dimostra lo sprezzo con cui il ricchissimo Berlusconi poté affrontare quei pagamenti corruttivi, senza doverne avvertire minimamente il peso» - e per la prima volta puniscono la corruzione di un parlamentare. 
Stiamo parlando dell’«operazione libertà», la compravendita del senatore Sergio De Gregorio eletto con Italia dei Valori di Tonino Di Pietro, che sosteneva il governo di Romano Prodi (2006-2008), passato, anzi «comprato» da Silvio Berlusconi per far cadere Romano Prodi. Processo e sentenza «storica», perché per la prima volta in un processo viene contestato e giudicato il reato di «corruzione per atto contrario ai doveri del proprio ufficio», nei confronti (all’epoca dei fatti) di due parlamentari: il più volte presidente del Consiglio Silvio Berlusconi e il senatore Sergio De Gregorio. C’è poi un terzo imputato, il faccendiere Valter Lavitola, intermediario tra Berlusconi e De Gregorio, considerato l’ispiratore dell’operazione di compravendita di senatori. 
Ma fu davvero corruzione di un senatore? E se invece quei tre milioni di euro versati a De Gregorio fossero stati fondi di un finanziamento illecito a Italiani nel Mondo? I giudici napoletani non hanno dubbi: «La promessa e poi la dazione di denaro da parte di Berlusconi, in cambio di un esercizio prezzolato della funzione parlamentare di De Gregorio, configura il delitto di corruzione unicamente in relazione all’agire del privato corruttore». 
Chiariscono i giudici che hanno sposato le tesi dei pm Vincenzo Piscitelli, Fabrizio Vanorio, Alessandro Milita e John Henry Woodcock: «Non v’è alcun dubbio, insomma, che l’illecito compiuto da De Gregorio, non consisté nell’aver ricevuto denaro per passare da uno schieramento all’altro, naturalmente, né nel compiere una vivace opposizione alla coalizione dell’Ulivo con cui era stato eletto in Parlamento, ma nell’aver abdicato in cambio di denaro, precisamente di tre milioni di euro, alla sua libera e incoercibile facoltà di scegliere se fare eventualmente anche proprio tutto ciò, laddove lo avesse ritenuto meglio rispondente all’interesse della nazione, o di non farlo nei casi in cui non ne ricorressero le condizioni». Nelle motivazioni, i giudici ricordano alcune dichiarazioni del senatore De Gregorio che confermavano che effettivamente voleva «tornare a casa», nella Casa delle libertà, ma che sarebbe rimasto anche nell’Ulivo se fosse stato nominato sottosegretario o ministro. E in ogni caso, fondamentale era per lui ottenere denaro per cancellare i debiti. 
La difesa di Berlusconi aveva sostenuto che il comportamento di De Gregorio era insindacabile, maturato nell’esercizio del voto e, come tale, appunto godeva della immunità propria riconosciuta ai parlamentari dalla Costituzione. Accusano Berlusconi e Lavitola, i giudici napoletani: «Si adoperarono per convincere l’allora senatore (De Gregorio, ndr) ad abdicare alle sue fondamentali prerogative di autonomia, indipendenza, disciplina e onore nella rappresentanza degli interessi della nazione e scambiarle con la prezzolata attuazione dell’unica prescrizione che stava a cuore all’allora capo dell’opposizione, ovvero di determinare la caduta del governo Prodi». 
GUIDO RUOTOLO 
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